Personaggi Illustri

Ora vi trovate qui ... Home » Comunità Parrocchiale » Personaggi Illustri

 

Padre GIOVANNI SEMERIA

Nasce a Coldirodi presso Sanremo il 26 settembre 1867, e poco tempo prima già la morte aveva segnato la vita della sua famigliola privandolo del papà. Orfano già prima di nascere ebbe sempre una particolare attenzione per questa categoria dimenticata.
Avviato agli studi ha sempre dimostrato passione per la conoscenza, da subito grande e assiduo studioso, è stato considerato sempre uno dei migliori studenti. Ugualmente alla formazione intellettuale ed umana non manca di unire una profonda formazione spirituale, mantenendo una vita di pietà fervente e continua attraverso la preghiera, gli esercizi spirituali e la santa Messa. Già si notano in lui quelle virtù che ne faranno una poliedrico studioso, un acuto osservatore, un insigne oratore. Sin da ragazzo ha portato nel cuore questo desiderio di diventare, sui passi dell’apostolo delle genti san Paolo, annunciatore del Vangelo, oratore della Parola di Dio, compagno dei poveri.
Con quest’ideale scelse di farsi Barnabita, e alla mamma che gli contrastava questa scelta egli dice: << Sono povero, voglio vivere da povero,lavorare per i poveri>>. Ha quindi delle idee molto chiare sul suo futuro avendo fatto la scelta di farsi anche lui “tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno”.
Ha vissuto il suo Noviziato in una comunione intima con Dio, cosciente che da quella unione poteva poi nascere una vita rinnovata e spesa tutta per amore, da quella esperienza di deserto sarebbero poi sviluppati quei frutti meravigliosi di grazia, benedizioni e apostolato a favore di ogni uomo.
Lo studio della Teologia lo vede aperto a far suo il Mistero di Dio Amore, per poter poi spezzare quel pane ricevuto nello studio ai tanti che avrebbe incontrato sui suoi passi. Dopo la professione religiosa emessa nel febbraio 1887, si avvia a diventare Sacerdote di Cristo, viene ordinato il 5 aprile 1890, appena ventitreenne, e ha già dinanzi a se un programma di vita: <<… non è per me un vanto predicare il vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il vangelo!>>.
Proprio quest’ansia spirituale di annunciare il vangelo lo porta ad essere continuamente in ricerca, allargando sempre più gli orizzonti della sua conoscenza. La sua esistenza di quegli anni successivi alla Teologia è completamente presa da quattro interessi predominanti: gli studi universitari, la fervida attività pastorale, l’inizio della sua “carriera” oratoria e importante la sua particolare attenzione sulla questione sociale, siamo negli anni infatti di Papa Leone XIII e della sua “Rerum novarum”.
Uomo dagli infiniti orizzonti culturali è stato amico e confidente di grandi uomini della cultura, continuamente aperto a nuove correnti di pensiero e sempre attento al cambiamento dei tempi. Merita memoria il suo impegno per il progresso della società e per una reale conciliazione tra la Chiesa e la Patria, convinto che solamente l’ingresso dei cattolici nel mondo sociale poteva rinnovare umanamente, socialmente e spiritualmente l’amata Italia. Profeta ha saputo già precedentemente assumere in sé quello che il Concilio Vaticano II avrebbe poi espresso, annunciando sempre con la vita, le opere e la parola la necessità di un nuovo cristianesimo dinamico, lontano dalle sacrestie e dai salotti dei benpensanti, non più superficiale e convenzionale, politico e diplomatico, insomma un pseudocristianesimo prevalentemente esteriore, di apparenza, ma un cristianesimo che abbattuti ogni confine fosse aperto al dialogo, all’uguaglianza, alla reale fraternità tra le genti, un cristianesimo evangelico che avesse come fondamento la Carità.
Resta impresso il suo coraggio e la sua determinatezza nell’essere uomo senza confini. Spinto dalla sua volontà di conoscenza e dialogo si spinge fino alla lontana Russia per incontrare gli operai italiani che li lavorano e lo scrittore Leone Tolstoi.Un incontro rimasto alla storia, ma che provocò per il Semeria una vera burrasca di prove e persecuzioni.
Padre Semeria è un uomo di grande onestà spirituale, coerente in tutte le sue scelte, non sa ingannare e prendere in giro, quindi continua ad essere fino in fondo difensore di quel cristianesimo evangelico che tanti si aspettano. In un tempo difficile, come quello che si apriva al nuovo secolo, dove il modernismo viene mal compreso, egli è messo all’indice, quindi tanti suoi calunniatori e nemici hanno la meglio. I superiori per smorzare ogni polemica lo trasferiscono in Belgio, ed egli come sempre obbediente parte senza battere ciglio. Ha fiducia in Dio e sa che alla fine Egli gli farà giustizia. Anche nella nuova situazione dimostra la sua grande qualità di apostolo, di oratore e di uomo di carità. Ha sempre verso i poverelli un’attenzione particolare e diventa popolare in tutta Bruxelles.
Intanto l’Italia è coinvolta nell’inevitabile guerra del 1915-18 ed egli, che a quel tempo si trovava nel canton Ticino a curare spiritualmente gli operai italiani, si arruola come cappellano militare ed è chiamato direttamente ad assistere il comando supremo. Inviato ad Udine il 13 giugno 1915 lui, amante della pace e fratello d’ogni uomo, assiste addolorato al martirio di tanti uomini innocenti sacrificati per l’amore e la libertà della Patria.
Qui incontra il prete Don Giovanni Minozzi e tra i due nasce una profonda intesa ed una grande e fraterna amicizia. Entrambi di larghe vedute e innamorati dell’umanità, non possono non occuparsi della salute spirituale e psicologica di quegli uomini al fronte. Per essi creano due istituzioni che risultano essere un balsamo: le bibliotechine e le case dei soldati. Nelle prime i soldati trovano la possibilità delle buone letture e di tenere la mente impegnata; nelle seconde essi si ritrovano insieme a dialogare, a distrarsi, ad accrescere il gran dono dell’amicizia e della fraternità. L’assistenza spirituale di questi due colossi è memorabile.
Sui campi di battaglia i due amici si ritrovano fianco a fianco a lenire il dolore, a pregare con i vivi, a soccorrere spiritualmente i feriti, ad assistere i moribondi, a seppellire i morti. Qui essi raccolgono dalla bocca delle migliaia di soldati caduti una sfida, un impegno, raccogliere alla fine della guerra quegli orfani che la Patria ha immolato vittime. Al termine di quella immane tragedia si ritrovano dinanzi a Dio e alla loro coscienza con quell’impegno e senza nulla anteporre alla promessa fatta girano l’Italia, specialmente nel sud e nel centro dove la guerra ha fatto maggiori vittime e dove la povertà è più eclatante, per raccogliere gli orfani e consolare le tante povertà. Dal cuore di Padre Semeria, cooperato da Don Giovanni Minozzi, nasce l’Opera per il Mezzogiorno d’Italia. Con l’entusiasmo di sempre ed una Carità più ardente egli, che ha sentito amaramente il dolore di essere orfano, si fa servo degli orfani.
La sua esistenza non trova un attimo di tregua, si fa pellegrino dappertutto per aiutare l’opera a crescere, ovunque impegna la sua attività di oratore per il bene dei suoi orfani. Come il seme buttato nel terreno e marcito dal sole e dall’acqua, così Padre semeria si lascia consumare da quell’amore che non conosce riposo.
Nel pieno dell’attività la morte lo coglie, esausto ma non stanco, mentre si trova a Sparanise di Caserta, dove è andato a salutare i suoi orfanelli. È il 15 marzo 1931. Al suo capezzale l’amico don Minozzi , le suore, gli orfani, gli amici più cari, i suoi ammiratori. A questi lascia il suo testamento: a fare il bene non si sbaglia mai.
La sua tomba si trova a Monterosso al mare in La Spezia, nella sua Liguria, casa che egli particolarmente ha amato e che è intitolata a lui, meta continua da quelli che da lui sono stati beneficati e amati.

Padre STEFANO PAOLO RAMBALDI

Il sacerdote Stefano Paolo Rambaldi nacque a Coldirodi il 25 dicembre 1803 da Gioachino Rambaldi e Bianca Maria Cassini. Donò alla nostra comunità una meravigliosa e unica collezione di opere d’arti e circa 6000 testi antichi e rari, custoditi nell’antica Villa Luca, oggi sede del Museo Rambaldi.

Egli trascorse gli anni della giovinezza, in qualità di religioso della Famiglia dei Preti della Missione, a Firenze, città d’arte per eccellenza, dove crebbe il suo interesse verso le arti figurative, e dove si fece coinvolgere dagli ideali risorgimentali grazie ai precetti di Antonio Rosmini (1797-1855), filosofo e sacerdote, che fu uno dei sui maestri di pensiero, e dal contatto epistolare che sviluppò con alcuni fra le personalità più importanti del Risorgimento italiano, quali Vincenzo Gioberti, il monsignor Pellegrino Farini, Alessandro Manzoni, Massimo Taparelli marchese d’Azeglio, Tullio Dandolo, Carlo Botta, Giovanni Ruffini, e non ultimo il grande scrittore Silvio Pellico.

Intrattenne inoltre rapporti con numerosi e prestigiosi circoli culturali, come l’Accademia Valdarnese, di cui fu membro della classe di Storia Morale e Religiosa, e la Società Promotrice di Belle Arti.

Ricoprì la carica di rettore del Seminario Maggior Arcivescovile di Piazza di Cestello a Firenze tra il 18 novembre 1841 e il 25 agosto 1849, quando l’occupazione austriaca del Granducato di Toscana costrinse l’arcivescovo Minucci a chiudere il seminario.

Nel frattempo la sua ricca collezione di dipinti e di libri si andava ampliando sempre più, e così pure i suoi debiti, tanto che già il 16 febbraio 1854, undici anni prima della sua morte, il sacerdote redasse il suo testamento disponendo di vendere, alla sua morte, la sua collezione pittorica per poi, col denaro guadagnato, pagare i creditori e salvare perlomeno la sua biblioteca.

Nel 1857 Rambaldi scrisse La visita dello Zio Luca, opera didascalica premiata nel 1859 dalla Commissione Centrale per la diffusione dei buoni libri. Nel 1860 acquistò un appartamento al terzo piano di Via Torta, dove dimorò fino alla sua morte, ed ottenne l’impiego di catechista presso il Regio Liceo Dante di Firenze, e dal 1863 poté godersi i frutti di una meritata pensione assegnatagli dal re Vittorio Emanuele. Si spense a Firenze il 5 aprile 1865.

Il fortunato acquirente della preziosa collezione di dipinti di Rambaldi fu, come s’è già detto, il consiglio comunale di Coldirodi, che riunitosi in assemblea straordinaria il 18 giugno 1865, accolse la mozione del sindaco di conservare quei dipinti nel paese natio del sacerdote.

Rambaldi, educatore oltre che sacerdote, credeva fermamente nella cultura come strumento di emancipazione, di liberazione dei popoli, e come mezzo per raggiungere l’autentica fede, quella “razionabile ed illuminata”, e non ottenuta “per istinto”. All’interno della pinacoteca si possono ammirare due ritratti di Rambaldi. Uno, datato 1850, è un dipinto di Dario Castellini, pittore originario di Carpi, in provincia di Modena, attivo nei decenni compresi fra il 1850 e il 1880, conosciuto dal sacerdote nel suo periodo di residenza a Firenze, dove Castellini era un già navigato ritrattista.

L’altro, realizzato dieci anni dopo, nel 1860, è opera di Antonio Ciseri (1821-1891), pittore svizzero-italiano, nato nel Canton Ticino e trasferitosi nel capoluogo toscano a soli dodici anni d’età, considerato tutt’oggi il miglior esponente della pittura religiosa del diciannovesimo secolo.